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🖋ANTONELLA PRESUTTI | Commento a “La grammatica del vento” di Antonella Sozio (ed. Dieci Lune, 2025)

da Giu 2, 2025

🖋ANTONELLA PRESUTTI | Commento a “La grammatica del vento” di Antonella Sozio (ed. Dieci Lune, 2025)

da | Giu 2, 2025 | Uncategorized | 0 commenti

C’è il mondo, il mondo vasto e insondabile, meraviglioso e lontano, perso in un tramonto o nelle spiagge della Florida, c’è il proprio mondo, quello degli orizzonti domestici, dove ogni passaggio del tempo e delle stagioni è conosciuto, scandito, recitato come una poesia, vissuto nei suoi odori e colori nella memoria laboriosa oltre che nello sguardo quotidiano. Questo primo segmento delle liriche di Antonella ha una sua forza persuasiva che nasce dal legame ancestrale con la propria terra, mai vissuto come impossibilità, catena che strangola e trattiene, ma come punto di partenza e di approdo, filamento che si allontana, ci allontana, traccia sempre la strada del ritorno e dell’amore che si fa nostalgico.

 

Tu sei lava silente che striscia
crepita
fiamma che non si spegne.

 

È il Matese che compare all’orizzonte con la sua storia e i suoi strati di vita, mentre la neve lo copre, presenza costante e discreta, come tutto ciò che appartiene al nostro orizzonte di sguardo e di senso.

 

Di silenzi vivissimi e profondi
sei come la notte,
luce attesa che mi manca
e nel sogno mi si offre.
Fredda di neve
avvolta nella luce
più calda che ci sia
tu, perduta casa casa mia.

Davanti ai nostri occhi si materializza la casa dell’infanzia nei silenzi vivi e profondi, forse più vivi del vociare intemperante della quotidianità, avvolta nella luce di un giorno qualunque, profonda e misteriosa come la notte, come un sogno ormai perso, dissolto all’alba.

 

T’assedia il buio
regna rapace il tempo
a passi d’ala ti percorre il vento.
Non hai stagioni
gli occhi fuggenti
ferite aperte le crepe
spenta ogni eco
solo silenzi.
Cosa resta di quel tanto,
voce di pioggia
ombra di fuoco spento
perduta illusione d’eterno.

 

È la stessa casa, desolata, come quella dei doganieri di Montale, nella sua attesa, che si affievolisce al pari di un lamento, trascina con sé lo scacco del tradimento, le stimmate delle crepe che dicono di un tempo che è assedio, mentre le finestre, come orbite, segnano il pieno e il vuoto di un mondo, di cui serbano memoria le mura, il focolaio spento per sempre, la voce della pioggia che continua a battere cadenzata su una vita che è ricordo. Sulle strade del mondo, su cui si fissano i passi di Antonella, nell’alba di Miami, dove tutto sta per ricominciare, si affollano tracciati diversi, ma la casa è e rimane certezza, ipostatizzazione di un punto fermo che la vita ha puntellato lì, senza intralcio e senza sconti, l’approdo a cui tornare con il dolore della perdita, ma con la certezza della presenza. E mentre il Natale riporta alla mente la neve sulle montagne, il rintocco dell’orologio della piazza, quel paesaggio dell’anima si popola di presenze, in quei ricordi che “sono mancanze”, in quei viaggi che sono verità e verità incarnate in viaggi accidentati. Pellegriniamo da un luogo all’altro, siamo nomadi delle nostre sensazioni, orfani dei nostri ricordi, cercatori di un senso, rabbiosi, gioiosi, malinconici sognatori, siamo tutto questo e tanto altro, ma siamo soprattutto cantori di ciò che la vita ci mette davanti, ricordo, summa, bilancio, tracce segnate lungo una strada di campagna, perse nel suono delle campane. C’è nella poesia di Antonella l’impronta inconfondibile di una terra dura, che è impossibile amare senza odiare, impossibile vivere senza il desiderio di fuggire lontano con la sete di libertà e con il timore di disorientarsi e smemorarsi. Un mondo che si popola di presenze, dicevamo, di un amore che mulinella via e si trasforma nel ricordo, quasi stilnovistico, degli occhi, nella presenza della madre, figura pascoliana, colta in quella raccolta operosità, in quella discreta vicinanza, in una voce dolce e muta, che è eco del tempo che fu, voce simile a quella del cembalo ormai “guasto” con il quale e attraverso il quale D’Annunzio disegna il volto stanco della madre, e che evoca quella dei tanti solitari, dolenti personaggi che dalla pietra dell’eterna dimora raccontano la propria storia di piccole, determinanti scelte e sconfitte, rimpianti e scacchi subiti che la morte e l’eternità inchiodano nel cimitero di Spoon River.

 

L’attimo è casa
di vento che accoglie
sussurra una voce
tra gli aghi di pino.
Non mi sgrida imperiosa
non comanda
è dolce, muta,
voce di mamma.
Chiama tempo
quello mai stato
il tuo nulla sereno
esatta misura di ciò che saremo.
Se mi avvicino alla pietra bianca
uscio spalancato
festoso invito
cade quel muro e torni nuova
senza tempo, stesso sorriso,
come nella foto da bambina
quando per mano mi tenevi i sogni
col vestito di madreperla e i fiori di aprile.
Ora siamo campo ventoso
ricordi dal vento cuciti
io stelo tremante
tu ape operaia
che sempre tesse per me sola
nell’incavo di trifoglio quel sorriso.

 

Le presenze, fondamentali, le piccole inserzioni di felicità, il filo e l’educazione alla gioia, perché esiste anche un’educazione alla gioia, quella che Buddy riesce a dare, con le fusa, con il gioioso incontrarsi, un segmento di serenità simile alla luce del sole che penetra dal cielo in noi; o il canto di dolore per chi fugge dalle fiamme, fratello nella morte, un piccolo koala nell’Australia della distruzione, vicino nella sofferenza e in quella violenza devastatrice che la mano del più delirante tra i dominatori del mondo ha condannato alla sofferenza lacerante. C’è qualcosa di francescano in questi versi e qualcosa che ricorda gli epicedi greci, in cui la delicatezza dei toni, la bellezza dell’atmosfera rarefatta di malinconia, crea gli epitaffi armoniosi per gli animaletti che abbiamo amato e che ci hanno abbandonato in uno stupore muto, nella desolazione della mancanza. Sensibile, meravigliosa Antonella, alla ricerca di un mondo di solidale vicinanza tra cose, persone e animali, in una sorta di fratellanza cosmica in cui tutto si investe di una funzione salvifica per il nostro vano e necessario peregrinare. Meravigliosa Antonella, che ci ricordi la nostra condizione di ospiti su questa terra e il nostro bisogno di legarci alle piccole inserzioni che la vita ci regala, quelle che non ci tradiranno mai, quando il resto ci abbandonerà.

L'Autore

Antonella Sozio

Raffinata voce della poesia contemporanea, Antonella Sozio incarna appassionatamente il ruolo di maestra, animatrice culturale e cantrice della sua terra. Il suo percorso, intriso di innata sensibilità, si manifesta nel tessere un legame indissolubile tra l’amore per la parola e la dedizione al prossimo, in particolare alle giovani generazioni, le cui menti illumina con la scintilla della curiosità e la meraviglia della scoperta. Per Antonella, la poesia è una “grammatica” viva e pulsante, uno strumento per decifrare il vento che raccoglie storie e memorie, per dare voce ai sussurri delle stelle e per cogliere l’essenza più profonda dei luoghi che la abitano.

Promotrice di iniziative di scrittura creativa e di lettura per i suoi alunni, Antonella è un’artista che non si limita a scrivere poesie, ma le vive e le condivide, trasformandosi in ponte tra il sentire individuale e la risonanza collettiva. Perché la vera grammatica del vento è la capacità di ascoltare, di sentire e di amare, lasciando che la trama invisibile si leghi all’anima del mondo.

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Antonella Sozio

L’ascolto del tutto sentito schiude il mondo alle sue minime voci, a una grammatica sinestetica che rende il poeta un essere leggero, alato e sacro in volo sulle cose. Come attraverso una doppia lente di ingrandimento, poesie e aforismi offrono un doppio sguardo sull’universo lirico della vita d’artista. E così il vento trasporta sui luoghi, sulle anime, sugli amori, ora dentro, ora fuori di essi, in una raccolta dal sapore terrestre e salmastro.

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